domenica 16 maggio 2010

Forever Palestine by Sami Yusuf

In occasione del 62° anno dal Nakba Palestinese, per non dimenticare...

sabato 20 marzo 2010

L’olocausto di Gaza


Un libro che sicuramente non troverete sugli scaffali delle librerie.
La prima sintesi ragionata del genocidio in atto sotto gli occhi della comunità internazionale.
Gli ultimi anni della storia palestinese, visti con gli occhi dei militanti del Forum Palestina, dalle manifestazioni di piazza alla rottura dell'assedio di Gaza, fino alla straordinaria esperienza internazionalista della Gaza Freedom March.
Un testo totalmente autoprodotto, disponibile esclusivamente on line all'indirizzo: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=417484.

martedì 16 marzo 2010

Una sinagoga nel cuore dell'area di al-Aqsa

Fonti palestinesi a Gerusalemme affermano che le autorità occupanti stanno distribuendo inviti per l'apertura di una sinagoga, il 16 marzo, nel cuore dell'area della moschea al-Aqsa.
Le stesse fonti riferiscono che i preparativi per questa inaugurazione sono in atto e che in base ad una profezia di un rabbino del XVIII sec. questa sinagoga dovrebbe essere costruita proprio nella data summenzionata sulle rovine della moschea al-Aqsa.
Dopo avere occupato la terra, ammazzato e cacciato la popolazione palestinese, adesso tentano di impossessarsi dei loro luoghi di culto religioso. La dichiarazione che ha deciso di inserire la Tomba dei Patriarchi di Hebron in una lista di “tesori nazionali” israeliani da restaurare è stata l’inizio.
Una nuova Intifada si sta profilando nell’orizzonte. Una unità nazionale palestinese è più che auspicabile in questo memento cruciale per potere fermare i progetti espansionistici israeliani e difendere l’esistenza della popolazione palestinese e la loro dignità culturale e religiosa.

mercoledì 18 febbraio 2009

Uno strumento per la Palestina: facile, pronto, usatelo

di Paolo Barnard
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=95

Ho già scritto, da anni, che:

Solo quando l'opinione pubblica occidentale saprà cosa è accaduto in Palestina dal 1897 al 1951, capirà di chi è il grande torto nel conflitto - capirà che il Grande Terrorismo è israeliano, e che il terrorismo palestinese è REAZIONE a decenni di orrori sionisti - capirà che i palestinesi hanno RAGIONE, e che la loro reazione di violenza è oggi solo esasperazione convulsa per tanta indicibile ingiustizia. E l'opinione pubblica occidentale a quel punto fermerà il conflitto.

Ma all'opinione pubblica occidentale nessuno mai racconta cosa è accaduto in Palestina dal 1897 al 1951. Dobbiamo farlo noi, voi. Come?

Ascoltate il mio racconto in sette parti su Youtube , dal titolo 'Palestina: capire il torto' (http://it.youtube.com/watch?v=5NBZjjj2Kh4). E DIVULGATELO, con ogni mezzo, anche solo fornendo il link. Fatelo però con le persone comuni, più che potete, con il popolo del TG1, del TG4, per intenderci. Sarà l'inizio della salvezza della Palestina, perché

"... oggi la gente non tollera più la barbarie, e la Storia ci dimostra che quando la scopre si attiva per porle fine"
Noam Chomsky

giovedì 22 gennaio 2009

La pulizia etnica della Palestina


Un evento editoriale sta scuotendo il panorama della storiografia mondiale senza che ciò abbia avuto alcuna eco sui media di regime italiani.

In particolare, è uscito anche in Italia l’ultimo lavoro di Ilan Pappe, “La pulizia etnica della Palestina”, Fazi Edizioni. L’autore è un rinomato storico israeliano il cui rigore scientifico e l’assoluta dedizione alla verità storica lo hanno messo in rotta di collisione con l’establishment accademico del suo paese e non solo.

In questo suo ultimo libro Pappe, attraverso l’utilizzo di documenti storici di prima mano quali i diari di Ben Gurion e i verbali delle riunioni del Comitato di Consulta, il massimo organo decisionale dell’Haganà, ossia del Partito-Milizia del movimento sionista, dimostra come l’espulsione dei palestinesi dal territorio che diventerà Israele non sia stato il frutto di una reazione difensiva alle minacce arabe, bensì sia stato programmato, organizzato ed eseguito scientemente dai vertici dell’Haganà.

Addirittura, Pappe dimostra che la de-arabizzazione della Palestina fosse nel programma del sionismo già dalla sua fondazione ai tempi di Theodore Herzl, e che già nel 1936 fosse stato stilato da Ben Gurion il Primo Piano per la pulizia etnica della Palestina, il Piano A (Aleph in ebraico), cui sarebbero seguiti altri piani fino a quello poi effettivamente messo in atto, il Piano D (Dalet in ebraico).

Il libro è veramente sconvolgente per la marea di nefandezze commesse dalla dirigenza sionista che nulla hanno da invidiare agli abomini nazisti. Ad esempio, c’era un apposito archivio gestito con i soldi del Fondo Nazionale Ebraico il cui compito era quello di raccogliere tutte le informazioni utili per la futura distruzione dei villaggi palestinesi e queste informazioni erano ottenute con l’inganno, approfittando della tradizionale ospitalità delle famiglie palestinesi o con l’ausilio di spie o di ebrei travestiti da arabi. Quando poi scatterà il Piano Dalet, le milizie di Haganà e delle bande terroriste Irgun e Stern arriveranno nei villaggi sapendo già esattamente dove colpire, i notabili e i militanti palestinesi da eliminare sul posto, i terreni, le ricchezze e i raccolti di cui appropriarsi. Ma questo è niente.

Nel libro si racconta la verità sul tremendo massacro di Deir Yassin che Haganà lascia alla banda Stern di Shlomo Shamir per mantere il suo (finto) volto “pulito”. 254 palestinesi vengono assassinati senza che abbiano opposto alcuna reazione alla deportazione: tra questi tante donne e bambini tra cui 40 neonati.

Trenta bambini vengono allineati su un muro e crivellati di colpi tra le risa degli assassini di Stern.

Ma gli orrori non si limitano a questo. Haifa è una delle vittime predilette dell’ossessione etnicistica dei sionisti. Prima del 1948, i nazisionisti di Irgun, l’organizzazione terroristica che darà poi vita al partito Likud e che era capeggiata da Menachem Begin, futuro premier di Israele, seguace di Jabotinski e ammiratore di Hitler, compiono numerosi attentati contro la pacifica popolazione palestinese di Haifa che aveva fino ad allora convissuto in piena armonia con gli ebrei. In particolare, si ricorda la bomba lanciata tra i portuali in fila per entrare a lavorare al porto, azione che servì a frantumare il sindacato unico dei portuali che comprendeva sia arabi che ebrei, vero obiettivo della strage in cui morirono una quarantina di lavoratori.

Più tardi, all’inizio della Nakba, Irgun e Haganà si divertiranno a lanciare barili incendiari ed esplosivi dai quartieri residenziali ebraici sui sottostanti quartieri palestinesi al fine di far uscire i palestinesi in strada e crivellarli dall’alto con le mitragliatrici. Non solo, il bombardamento del mercato antistante il porto in cui si era ammassata la popolazione palestinese disperata in attesa di una qualunque barca che li portasse verso la salvezza, somiglia molto al bombardamento del mercato di Sarajevo. Il risultato secondario sarà la morte di molte persone per calpestamento o annegamento su barconi improvvisati.

Ma il libro è pieno di questi orrori, come l’avvelenamento dell’acquedotto di Acri, compiuto da uomini dell’Haganà, che farà scoppiare un’epidemia di tifo tra gli assediati.

La conta finale della Nakba sarà di 531 villaggi palestinesi cancellati dalla faccia della terra, migliaia di morti tra la popolazione civile palestinesi e oltre un milione di deportati.

Comunque, vi consiglio di leggere questo libro anche perché non vorrei che fosse l’ultimo di Ilan Pappe, un uomo veramente con i cabbasisi.

Fonte: Luogocomune

lunedì 19 gennaio 2009

Frasi celebri di David Ben-Gurion: fondatore dello stato di Israele


"Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti." (Ben Gurion and the Palestine Arabs, Oxford University Press, 1985).

"Dobbiamo usare il terrore, l'assassinio, l'intimidazione, la confisca delle terre e l'eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba". (Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore. Da: Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

"Ci sono stati l'anti-semitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma loro in questo cosa c'entravano? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro paese. Perché dovrebbero accettarlo?" (Riportato da Nahum Goldmann in Le Paraddoxe Juif (The Jewish Paradox), pp. 121-122.)

"I villaggi ebraici sono stati costruiti al posto dei villaggi arabi". (citato in The Jewish Paradox, di Nahum Goldmann, Weidenfeld and Nicolson, 1978, p. 99.)

"Tra di noi non possiamo ignorare la verità ... politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono ... Il paese è loro, perché essi lo abitavano, dato che noi siamo voluti venire e stabilirci qui, e dal loro punto di vista li vogliamo cacciare dal loro paese.". (Riportato a pp 91-2 di Fateful Triangle di Chomsky, che apparve in "Zionism and the Palestinians pp 141-2 di Simha Flapan che citava un discorso del 1938.)

venerdì 16 gennaio 2009

Luoghi comuni e falsità diffuse


Hamas vuole distruggere Israele
Israele ha rifiutato la proposta di pace araba firmata a Beirut nel marzo del 2002. in cui TUTTI i paesi arabi si sono impegnato a riconoscere e fare la pace con Israele finendo così il conflitto arabo-israeliano

Hamas ha rotto la tregue a dicembre del 2008
Israele ha rotto per prima la tregue a novembre del 2008 uccidendo 6 persone. Inoltre la tregua l'aveva stabilita Hamas in modo unilaterale.

Israele è uscita da Gaza
Ma il mare di Gaza e tutti confini della striscia con Israele sono sotto il controllo degli israeliani creando coì un grande prigione di un milione e 300.000 persone.

Non tutti sanno che
Gaza è sotto embargo da oltre 6 mesi dove è vietato fare entrare cibo, medicinali, … rendendo la vita infernale agli abitanti della striscia.

Palestina, prima, adesso e ...


mercoledì 14 gennaio 2009

Boicottaggio dei prodotti israeliani



Occhio al codice a barre: il 729 è made in Israel
Cominciamo con qualcosa di piccolo... ma, in questo mondo governato dal capitale, efficace: quando andate al supermercato, nei negozi, nei mercati controllate la provenienza dei prodotti che acquistate.
Se il codice a barre riporta il numero 729 non comprateli.
Cominciamo a togliere qualche arma a chi ne sgancia a tonnellate sulla popolazione palestinese.

venerdì 9 gennaio 2009

Israele sperimenta nuove armi non convenzionali a Gaza

Israele sta sperimentando nuove armi non convenzionali contro la popolazione civile di Gaza. E' la denuncia del New Weapons Research Committee, secondo il quale "si sta ripetendo nella Striscia ciò che è già avvenuto in Libano nel 2006, quando lo stato ebraico utilizzò nel conflitto contro l'organizzazione sciita Hezbollah il fosforo bianco, il Dense inert metal explosive (Dime) e gli ordigni termobarici, tre tipologie di strumenti di offesa riconoscibili per le caratteristiche delle ferite che provocano, nonché le bombe a grappolo e i proiettili all'uranio, che hanno lasciato tuttora sul terreno nel Paese dei cedri tracce di radioattività e ordigni inesplosi".

Si moltiplicano le evidenze dell'impiego di queste armi ora anche nella Striscia di Gaza anche se, precisa il NWRC, a causa del blocco degli ingressi ancora non sono state possibili verifiche dirette indipendenti. "Le immagini e le testimonianze che giungono dal conflitto - spiega Paola Manduca, professoressa di genetica all'università di Genova e membro del NWRC - presentano significative somiglianze con quelle raccolte e verificate nella guerra di luglio e agosto 2006 in Libano".

Mads Gilbert, medico norvegese dell'organizzazione non governativa Norwac, attualmente al lavoro nell'ospedale Shifa, il maggiore di Gaza, segnala che "molti arrivano con amputazioni estreme, con entrambe le gambe spappolate"; ferite, spiega, "che io sospetto siano ferite da armi Dime". Non solo, ma anche le immagini che arrivano da Gaza sembrano confermare i sospetti. Le ustioni riportate da alcuni bambini a Gaza, appaiono molto simili a quelle evidenziate nel 2006 dal dottor Hibraim Faraj, chirurgo dell'ospedale di Tiro e dal dottor Bachir Cham di Sidone. "Attualmente - sottolinea Manduca - ci arrivano report da medici e da testimoni informati che ci fanno ritenere che, oltre alle armi usate nel 2006, ulteriori nuove armi siano sperimentate oggi a Gaza. Questo rende necessario che ulteriori indagini scientifiche e tecniche siano intraprese".

In questi due anni il NWRC ha realizzato verifiche scientifiche con tecniche di istologia, microscopia elettronica a scansione e chimiche su biopsie da vittime della guerra del 2006 e insieme a dottori libanesi e palestinesi, ha raccolto casistica clinica e documentazione dalle quali emerge che bombe termobariche, Dime e armi a intensità subletale mirate sono state usate nelle guerre del 2006 in Libano, mentre Dime e armi mirate subletali sono state impiegate a Gaza.

NWRC ha presentato una relazione di questo lavoro al Human Rights Council delle Nazioni unite, al Tribunale del popolo sui crimini della guerra in Libano ed è stato ascoltato dalla Commisione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito del Senato. Inoltre ha collaborato con scienziati internazionali che hanno identificato l'uso di bombe a penetrazione con uranio, arricchito e impoverito, in Libano.

NWRC è una commissione indipendente di scienziati basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree dove vengono utilizzate.
Gli scopi della sua attività sono: ottenere prova delle armi usate; determinare i rischi a lungo termine su individui e popolazioni anche dopo la fine del conflitto; imparare a curare e proteggere i sopravvissuti attraverso indagini cliniche e predittive.

Ufficio stampa
Fabio De Ponte
TEL. 347.9422957 – MAIL: info@newweapons.org
www.newweapons.org

lunedì 29 dicembre 2008

EINE KLEINE NACHT MURDER

Come i leader israeliani uccidono in cambio di voti
di Gilad Atzmon
dal sito Palestine Think Tank
Traduzione di Gianluca Freda


Per capire l’ultima devastante spedizione omicida degli israeliani contro Gaza bisogna comprendere a fondo l’identità israeliana e il suo odio innato verso chiunque non sia ebreo, l’odio verso gli arabi in particolare. Questo odio è contenuto nel curriculum israeliano, viene predicato dai leader politici e sottinteso dalle loro azioni. E’ veicolato da categorie culturali, perfino all’interno della cosiddetta “sinistra israeliana”.

Sono cresciuto in Israele negli anni ’70, gli individui della mia generazione oggi sono in Israele a capo dell’esercito, della politica, dell’economia, della cultura e delle arti. Siamo stati abituati a pensare che “un arabo buono è un arabo morto”. Qualche settimana prima che entrassi a far parte della IDF [le Forze di Difesa Israeliane, NdT] nei primi anni ’80, il generale Raphael Eitan, all’epoca capo di stato maggiore, annunciò che gli arabi erano come “scarafaggi imprigionati in una bottiglia”. La fece franca, così come la fece franca dopo l’assassinio di migliaia di civili libanesi durante la prima guerra del Libano. In una parola, gli israeliani riescono sempre ad ammazzare la gente e passarla liscia.

Fortunatamente, e per ragioni che tuttora sfuggono alla mia comprensione, a un certo punto mi risvegliai da questo mortifero sogno ebraico. A un certo punto me ne andai dallo stato degli ebrei, evasi dal dilagare dell’odio ebraico, diventai oppositore dello stato ebraico e di ogni altra forma di politica ebraica. In tutti i modi, sono fortemente convinto che sia mio dovere primario informare chiunque desideri ascoltarmi di cosa abbiamo contro.

Se il sionismo mirava a trasformare gli ebrei, e se pensava che “donandogli un proprio stato” li avrebbe resi simili a qualunque altro popolo, allora ha miseramente fallito. La barbarie israeliana, quale abbiamo potuto osservarla questa settimana e in infinite occasioni precedenti, va ben al di là della bestialità pura e semplice. E’ l’uccidere per il gusto di uccidere. Ed è indiscriminata.

Poche persone in occidente si rendono conto di una realtà devastante: che ammazzare gli arabi, e i palestinesi in particolare, è una ricetta politica israeliana di grande efficacia. Gli israeliani sono in realtà un popolo confuso. Per quanto insistano a vedere se stessi come una nazione in cerca di “Shalom” (1), in realtà amano essere guidati da politici che abbiano alle spalle un impressionante curriculum di massacri ingiustificati. Che si tratti di Sharon, Rabin, Begin, Shamir o Ben Gurion, gli israeliani vogliono che i loro “leader democraticamente eletti” siano falchi bellicosi, con le mani grondanti sangue e con alle spalle un solido background di crimini contro l’umanità.

Manca qualche settimana alle elezioni in Israele e sembra che tanto il candidato di Kadima, il ministro degli esteri Tzipi Livni, quanto il candidato laburista, il ministro della difesa Ehud Barak, si trovino molto indietro nelle preferenze rispetto al candidato del Likud, il noto falco Benjamin “Bibi” Netanyahu. Livni e Barak hanno bisogno della loro piccola guerra. Devono dimostrare agli israeliani che sanno come gestire uno sterminio di massa.

Sia Livni che Barak devono offrire all’elettore israeliano un’esibizione di devastante carneficina, così che gli israeliani possano aver fiducia nella loro leadership. E’ la loro unica possibilità contro Netanyahu. In pratica, Livni e Barak stanno lanciando tonnellate di bombe sui civili palestinesi, sulle scuole e sugli ospedali perché questo è esattamente ciò che gli israeliani vogliono vedere.

Sfortunatamente, gli israeliani non sono conosciuti per la loro pietà o per la loro compassione. Al contrario sono appagati dalla ritorsione e dalla vendetta, gioiscono della loro stessa brutalità senza limiti. Quando all’ex comandante in capo delle Forze Aeree Israeliane, Dan Halutz, fu chiesto che cosa si provasse a sganciare una bomba su un quartiere di Gaza densamente popolato, la sua risposta fu breve e precisa: “Si prova una leggera turbolenza sull’ala destra”. La freddezza omicida di Halutz fu sufficiente a garantirgli la promozione a capo di stato maggiore della IDF poco tempo dopo. Fu il generale Halutz a guidare l’esercito israeliano nella seconda guerra del Libano, fu lui a perpetrare la distruzione delle infrastrutture libanesi e di ampie zone di Beirut.

A quanto sembra, nella politica israeliana il sangue degli arabi si traduce in voti. Ovviamente sarebbe molto ragionevole incriminare Livni, Barak e l’attuale capo di stato maggiore della IDF, Ashkenazi, per omicidio di primo grado, crimini contro l’umanità e per la palese infrazione delle Convenzioni di Ginevra. Ma è molto più comprensibile tenere conto del fatto che Israele è una “democrazia”. Livni, Barak e Ashkenazi stanno dando al popolo israeliano ciò che vuole: si chiama sangue arabo e deve essere fornito in abbondanti quantità. Questa ininterrotta pratica omicida condotta dai politici israeliani riflette le attitudini del popolo israeliano nel suo insieme piuttosto che quelle di un manipolo di politici e generali. Abbiamo a che fare con una società barbarica, guidata, sul piano politico, da inclinazioni sanguinarie e assassine. Non può esservi dubbio, non c’è posto per questa gente fra le nazioni.

Perché gli israeliani siano un popolo così lontano da qualsiasi nozione di umanità è una bella domanda. Gli studiosi della natura umana più generosi ed ingenui potrebbero sostenere che la Shoah abbia lasciato un’enorme cicatrice nell’animo degli israeliani. Ciò potrebbe spiegare perché gli israeliani coltivino tale ricordo in modo ossessivo, con il sostegno dei loro fratelli e sorelle della Diaspora. Gli israeliani dicono “mai più” e ciò che vogliono dire è che non dovrà più esserci una nuova Auschwitz, il che in qualche modo li fa sentire legittimati a punire i palestinesi per i crimini commessi dai nazisti. I più realistici tra noi non credono più a questa tesi. Oggi iniziano ad ammettere che è più che probabile che gli israeliani siano così incredibilmente brutali perché semplicemente è questo che sono. E’ qualcosa che va oltre la razionalità e le teorizzazioni pseudo-analitiche. Essi affermano: “Questo è ciò che gli israeliani sono e non c’è più nulla da fare”. I realistici arrivano perfino ad ammettere che uccidere sia il modo in cui gli israeliani interpretano il significato dell’essere ebrei. Con tristezza, molti di noi sono arrivati ad ammettere che non esiste un sistema di valori laici alternativo con cui gli ebrei possano sostituire la pulsione ebraica all’omicidio. Lo stato ebraico sta lì a dimostrare che l’autonomia nazionale ebraica è un concetto inumano.

Sono cresciuto nell’Israele degli anni dopo il 1967. Sono stato allevato nel culto della mitica vittoria israeliana, siamo stati abituati ad adorare l’”israeliano che combatte in posizione di svantaggio”, l’eroico plotone che punta il suo Uzi automatico verso gli arabi e riesce a sconfiggere quattro eserciti in soli sei giorni.

Mi ci sono voluti due decenni di troppo per capire che l’”israeliano che combatte svantaggiato” era in realtà un maestro dello sterminio indiscriminato. Barak era uno di quegli eroi del 1967, un maestro dell’assassinio indiscriminato. A quanto sembra, l’esecutivo israeliano ha appena approvato un progetto per il più massiccio attacco contro Gaza dal 1967. Livni ha più o meno la mia età e, a giudicare dalle notizie, ha interiorizzato quel messaggio. Ora si sta costruendo le necessarie credenziali come assassina indiscriminata. Sia Barak che la Livni stanno conducendo Israele in una campagna elettorale di sterminio. Il sangue degli arabi e dei palestinesi è il carburante della politica israeliana.

Potrei suggerire a Barak e alla Livni che non è detto che ciò li aiuti nei sondaggi. Netanyahu è un falco autentico e genuino. Non ha bisogno di atteggiarsi ad assassino e, per quanto io possa disprezzarlo, non ha ancora condotto Israele in una guerra. Probabilmente egli capisce meglio di loro che cosa sia il potere della deterrenza.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


(1) Non bisogna confondere “Shalom” con “pace” o con “Salam”. “Pace” e “Salam” esprimono riconciliazione e compromesso, mentre “Shalom” significa sicurezza per il popolo ebraico a spese del territorio circostante.

Stop al genocidio a Gaza





domenica 28 dicembre 2008

ATTACCO AEREO SENZA PRECEDENTI A STRISCIA DI GAZA 27-12-2008


La strage di Gaza in diretta sui blog

Questo articolo è tratto dell'edizione di Repubblica.it, contiene riferimenti ed indirizzi di blog per chi cerca la verità delle cose per smascherare l'ennesimo atto terroristico dello stato israeliano ai danni dei palestinesi.

27.12.2008 di MARCO PASQUA

"Ero nella mia casa, vicino al porto di Gaza, e stavo facendo colazione con pane e marmellata, quando i razzi hanno iniziato a colpire, intorno alle 11. Sei o sette potenti esplosioni, non lontano dal mio palazzo, che ha vibrato. Fumo e polvere ovunque. I razzi sono caduti mentre i bambini tornavano da scuola. Quando sono uscita da casa, una bambina di 5 anni, terrorizzata, si è lanciata tra le mie braccia".

Inizia così il racconto dell'australiana Sharon Lock, che documenta quello che sta accadendo nella striscia di Gaza. "Tales to tell" (Storie da raccontare) è il blog della volontaria del movimento pacifista "Free Gaza", che dallo scorso mese di agosto si trova in questa striscia di territorio, per contestare, tra le altre cose, il blocco imposto dagli israeliani ai pescatori palestinesi nelle acque antistanti Gaza.

"Durante gli attacchi -scrive la Lock- Eva, un'altra volontaria, ha visto un razzo colpire la strada, a 150 metri di distanza da dove una folla si era radunata cercando di estrarre i cadaveri. La strada era coperta di macerie, rendendo difficoltosi i soccorsi".

L'ospedale Al-Shifa è saturo di persone ferite, spaventate, ma è anche un centro di raccolta di "pezzi di quello che una volta erano essere umani". "I razzi hanno colpito molte stazioni di polizia, dove era in corso la formazione delle reclute. Ma tra i morti ci sono anche civili e bambini". Nel post è stata inserita una foto che documenta la distruzione della stazione di polizia Omar Mukthar, e mostra cinque persone intente a trascinare via un uomo, che è rimasto colpito durante l'attacco. Ma c'è anche uno scatto dell'ingresso di un ospedale, con la folla accalcata e le ambulanze che a malapena riescono a guadagnarsi un passaggio.
Il pezzo si conclude con un appello alla mobilitazione: "Chiamate le radio, i media, informate i vostri parlamentari: questi razzi stanno uccidendo dei civili. Non colpiscono solo Hamas. I poliziotti feriti o uccisi sono dipendenti del governo, che si occupano di problemi di viabilità e piccoli crimini. Donne e bambini sono morti. Una stazione di polizia che è stata colpita era attaccata ad una scuola".

Sul sito di riferimento del movimento Free Gaza vengono riportate le testimonianze di altri volontari. Sono, ancora una volta, racconti di guerra. "L'obitorio dell'ospedale Al Shifa non ha più spazio per altri cadaveri - racconta il professor Haidar Eid, dell'università Al Aqsa di Gaza - Per questo i cadaveri vengono ammassati in vari punti del nosocomio". La volontaria canadese Eva Bartlett riferisce che gli ospedali hanno dovuto far uscire i pazienti meno gravi, per dare spazio a quelli più seri: "C'è una grande carenza di sangue", racconta.

"La mia casa è stata pesantemente danneggiata - racconta la libanese Natalie Abu Eid, dell'International Solidarity Movement - Un bambino, che si trovava in casa con noi al momento degli attacchi, è svenuto. Un altro è rimasto sdraiato in terra per un'ora, a tremare. Di fronte alla nostra abitazione abbiamo trovato i corpi di due bambine, sotto un'auto: erano completamente bruciate. Stavano tornando da scuola".

"I missili hanno colpito un'area giochi per bambini e un mercato, a Diere Balah - dice, citata da Free Gaza Movement, la polacca Ewa Jasiewicz - Abbiamo visto la gente ferita, e i morti. Gli ospedali non hanno più medicine per curare i feriti".

Aggiornamenti continui anche sul blog "Una finestra sulla Palestina", che racconta di come centinaia di palestinesi si siano riversati per le strade, in seguito alle esplosioni: "Fonti mediche palestinesi hanno descritto i pezzi di corpi che venivano portati in ospedale - scrive il sito - Tutte le persone con ferite lievi sono state rimandate a casa, e non hanno potuto ricevere alcuna cura".

Laila El-Haddad è una giornalista palestinese, che si divide tra la striscia di Gaza e la Carolina del Nord, dove si trova adesso, ed è l'autrice del blog "Una madre da Gaza". I suoi genitori vivono tutt'ora a Gaza, e Laila racconta come abbia vissuto le ore in cui il mondo è stato informato degli attacchi. "Ricevo una telefonata da altri miei parenti in Libano - scrive sul blog - Loro non possono telefonare a Gaza, e mi chiedono di fare da tramite. Riesco a parlare con mio padre, al cellulare. E' appena tornato dall'ospedale, dove ha donato del sangue. Mio padre è un chirurgo in pensione, e si è offerto di dare una mano al personale dell'ospedale. Mi ha raccontato che quando i razzi hanno colpito Gaza, loro si trovavano al mercato. Lui ha pregato, mentre la terra vibrava e il fumo li investiva". Secondo quanto riferito da Laila, gli israeliani hanno colpito "50 diversi obiettivi, con 60 aerei diversi, colpendo 200 persone. Come in un gioco". Il titolo del suo ultimo post, pubblicato oggi, è "Le piogge di morte su Gaza".

E nella Striscia palestinese c'è un italiano: è Vittorio Arrigoni, anche lui volontario del Free Gaza Movement, arrestato dai militari israeliani, lo scorso mese di novembre, con l'accusa di non aver rispettato i limiti di navigazione imposti da Israele nelle acque di Gaza. Anche il suo ultimo post racconta gli attacchi odierni: "Siamo sotto le bombe a Gaza, e molte sono cadute a poche centinaia di metri da casa mia. E amici miei, ci sono rimasti sotto. Una strage senza precedenti. Terroristi? Hanno spianato il porto, dinnanzi a casa mia e raso al suolo le centrali di polizia".

Parlando delle vittime dei bombardamenti: "Li ho conosciuti, questi ragazzi, li ho salutati tutti i giorni recandomi al porto per pescare coi pescatori palestinesi, o la sera per recarmi nei caffè del centro. Diversi li conoscevo per nome. Un nome, una storia, una famiglia. Sono giovani, diciotto ventanni, per lo più che se ne fottono di Fatah e Hamas, che si sono arruolati nella polizia per poter aver assicurato un lavoro in una Gaza che sotto assedio ha l'80 per cento di popolazione disoccupata. Queste divise ammazzate oggi (senza contare le decine di civili che si trovavano a passare per caso, molti bambini stavano tornando a casa da scuola), sono i nostri poliziotti di quartiere. Se ne stavano tutti i giorni dell'anno a presidiare la stessa piazza, la stessa strada, li ho presi in giro solo ieri notte per come erano imbaccuccati per ripararsi dal freddo, dinnanzi a casa mia. Non hanno mai sparato un colpo verso Israele, né mai lo avrebbero fatto, non è nella loro mansione. Si occupano della sicurezza interna, e qui al porto siamo ben distanti dai confini israeliani. Ho una videocamera con me ma sono un pessimo cameraman, perché non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime. Non ce la faccio. Non riesco perché sto piangendo anche io. Ambulanze e sirene in ogni dove, in cielo continuano a sfrecciare i caccia israeliani con il loro carico di terrore e morte. Devo correre, all'ospedale Al Shifa necessitano di sangue".

lunedì 4 agosto 2008

Israele è condannato per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e per genocidio

Dal 22 al 24 febbraio scorso, a Bruxelles, il "Tribunale internazionale dei Cittadini per il Libano" si è riunito per ascoltare i testimoni della guerra del luglio-agosto 2006. Racconti di orrore, di una guerra d'aggressione pianificata con l'obbiettivo di "accerchiare" e poi colpire la Siria e l'Iran. Una guerra persa da Israele, come ha ricordato all'inizio del processo Jean Bricmont. Il verdetto finale dei quattro giudici (Colombia, Cuba, India, Italia) spiega, paragrafo dopo paragrafo, perché, sulla base di prove ineccepibili, Israele è stato condannato non solo per crimini di guerra e crimini contro l'umanità ma anche per genocidio.


Scarica il testo completo della sentenza in italiano.

martedì 17 giugno 2008

Le bombe a grappolo israeliane continuano ad uccidere

La guerra in Libano era finita da poche settimane. Quando non c'era scuola il passatempo di Mohammed e suo fratello, inseieme ai cugini, era osservare la pala dalla scavatrice tirar fuori dalle macerie delle case distrutte dai bombardamenti israeliani, pezzi di cucina, piastrelle, bulloni. Tesori che solo i giochi dei bambini permettono di apprezzare. Il sole si avvicinava allo zenith nel villaggio di Sawane, a sud del Libano. I cinque ragazzini trovarono riparo dalla calura secca mediorientale sotto un albero. Le vibrazioni della pala meccanica scossero i rami. La bomba a grappolo che aveva fatto cilecca nei giorni della guerra, rimasta incastrata tra il fogliame, finì scaraventata al suolo. Le munizioni del grappolo di morte schizzarono in ogni direzione. I metallo rovente trapassó il collo e il petto di Mohammed di Mohammed Hassan Sultan. Altri pezzi della bomba ferirono alle gambe suo fratello Ahmad di sedici anni ed i cugini Abbas, Hussein, Jamil e Hilal.

Così, in una frazione di secondo, la mattina del 27 settembre 2006, è finita la vita di un ragazzino libanese, ucciso da una bomba a grappolo o cluster bomb, residuo di un conflitto finito.

Solo nell’attacco al Libano del 2006, Israele ha gettato sul Libano tante di queste cluster bombs, da totalizzare 4 milioni di «bomblets», ossia di ordigni piccoli e graziosi che paiono giocattoli, e sono pronti a scoppiare quando un bambino li prende in mano o un pastore ci inciampa sopra. Di questi 4 milioni, infatti, almeno un milione giacciono inesplosi tra campi e rocce libanesi, in attesa della loro occasione. E dalla fine della guerra in Libano, hanno già ammazzato o mutilato e sfigurato 200 libanesi. «Higly useful battle devices», ossia «strumenti utilissimi sul campo di battaglia», dicono gli israeliani e gli americani che - a ragione - non hanno aderito alla messa al bando.

martedì 10 giugno 2008

I dati dell’invasione del Libano (12 luglio – 14 agosto 2006)

Fonte Governo libanese

Dal 12 luglio (data inizio del conflitto) al 25 agosto 2006
1187 civili uccisi
4060 feriti approssimativamente


Fonte OCHA - Office for the Coordination of Humanitarian
Affairs
25 agosto 2006
3,6 miliardi dollari di danni compresi 145 ponti e 600 km di strade distrutti
12 persone uccise dalle bombe a grappolo e più di 50 feriti dal 14 ag
osto, data del cessate il fuoco. Problemi di bonifica per l'enorme numero di bombe a grappolo disseminate sul terreno; a rischio la ricostruzione di case e la coltivazione dei terreni con conseguenze gravi per i profughi e l'agricoltura che in alcune zone é l'unica attività redditizia. Ci sono già problemi per il raccolto delle olive e del tabacco.
15mila case distrutte, 1/4 di esse nei quartieri di Beirut sud, 45mila case danneggiate, interi villaggi del sud distrutti

Fonte Governo libanese
Dal 12 luglio(data inizio del conflitto) al 4 agosto 2006
900 civili uccisi e molti dispersi sotto le macerie
3293 feriti
1/3 tra morti e feriti sono bambini e la maggioranza civili

Più di 1 milione di sfollati
Migliaia di case di civili distrutte

STIMA DEI DANNI ALLE INFRASTRUTTURE 2,5 MILIARDI DI DOLLARI

Blocco totale del traffico aereo, stradale e marino (bombardati l'aeroporto internazionale di Beirut, il porto e tutte le principali arterie stradali)
Bombardati: le centrali elettriche e distrutti i depositi di carburante, gli impianti di trattamento delle acque e dei rifiuti, più del 20% dei distributori di gas e carburante; scuole, radio. TV, stabilimenti industriali, fabbriche, dighe, chiese, mosch ee,
ospedali, ambulanze, basi dell'ONU
Inquinamento da petrolio di oltre 80 km di costa
Infestazione di bombe a grappolo inesplose nella zona meridionale (continuano tutt'oggi a fare vittime).


Mappa delle infrastrutture bombardate

Mappa delle zone bombardate


giovedì 15 maggio 2008

Per non dimenticare i 60 anni di "nakba" palestinese

Ogni anno il popolo palestinese commemora al-Nakba, la catastrofe.

Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio 1948, data in cui lo stato d'Israele si è impossessato delle terre, delle case e delle vite del popolo palestinese.

Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo palestinese si è trasformato in una nazione di rifugiati. 750.000 Palestinesi sono stati espulsi dalle loro case e sono stati costretti a vivere nei campi profughi. Molti di quelli che non sono riusciti a scappare sono stati uccisi.

Nel 1948 più del 60 per cento della popolazione palestinese è stato espulso. Più di 530 villaggi palestinesi sono stati evacuati e distrutti completamente.

Finora Israele ha impedito il ritorno di circa sei milioni di rifugiati palestinesi e continua ancora oggi a cercare di espellere i palestinesi dalla loro terra. Queste operazioni assumono di volta in volta forme e nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”.

I rifugiati palestinesi sono fuggiti in diversi posti; alcuni sono fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri sono fuggiti all'interno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi, costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e altri si sono dispersi in vari paesi del mondo.

Tutti questi rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è rinnovato ogni anno attraverso la commemorazione della Nakba.

lunedì 12 maggio 2008

Libano: Hezbollah non c'è cascato

Maurizio Blondet
10 maggio 2008

Hezbollah «ha fatto un colpo di Stato», strillano i media. Fuad Siniora, il primo ministro libanese sostenuto dagli occidentali, ripete: «E’ un colpo di Stato». E’ la propaganda israeliana che viene diffusa, e che nasconde la realtà: Hezbollah, dopo aver effettivamente occupato la zona di Beirut dominata dal clan Hariri, ha chiamato poi l’esercito libanese a riprendere il controllo dell’area, su suo invito. Il suo comunicato non lascia dubbi: «L’opposizione libanese mette fine alla presenza armata a Beirut in modo che la capitale torni in mano all’esercito». Capito?

L’abilissimo Nasrallah e il comandante Aoun (perchè con l’Hezbollah sciita, non dimentichiamolo, ci sono i cristiani di Aoun) ha evitato di prendere il potere, e di strappare il governo a Siniora. Evitando così, come spiega Thierry Meyssan (1), di dare il pretesto alla NATO (a ad Israele) per una invasione «di pace».

Il solo che abbia fatto un golpe è proprio Siniora: e dall’11 novembre 2006 quando, abbandonato da cinque ministri, secondo la Costituzione libanese (articolo 95) avrebbe dovuto dimettersi; non lo fece. Da allora si è mantenuto al potere solo perchè la «comunità internazionale» (leggi: USA, Europa e Israele) lo sostengono; altrimenti il governo sarebbe andato alla coalizione cristiano-sciita di Aoun e Nasrallah, che ha la maggioranza nel Paese, e le trame del Mossad in Libano sarebbero diventate più difficili.

Infatti Hezbollah è legittimato al potere dalla vittoriosa resistenza contro Israele, e insieme ai cristiani di Aoun ha con sè la maggioranza nel Paese. La tentazione di marciare sui palazzi del governo dev’essere stata forte; ma non lo ha fatto. Al contrario, sia Nasrallah sia Aoun dichiarano, anche con gli atti, che «non hanno intenzione di far passare gli interessi di parte, ancorchè maggioritari, davanti all’unità del Paese».

Quando i media ripetono che Hezbollah ha costituito «uno Stato nello Stato», bisogna tradurre: Hezbollah e i cristiani non riconoscono la legittimità del governo di Siniora, perchè ha violato la costituzione. Si comportano come se non esistesse. E naturalmente si autogovernano. Anche perchè da 18 mesi il Libano non ha più presidente, nè corte costituzionale, nè assemblea legislativa (il parlamento non avendo più il mandato per procedere all’elezione presidenziale). Hezbollah, nella sua zona, riempie il vuoto anche amministrativo, specie sul piano sociale e assistenziale.

Occorrerebbero libere elezioni. Ma Washington sa benissimo che il «suo» governo Siniora non ha appoggio popolare, e perderebbe clamorosamente. Il voto legittimerebbe il potere sciita-cristiano.

Da qui la necessità di far succedere qualcosa, di spingere Hezbollah dalla parte del torto con qualche provocazione, che lo induca a sparare contro altri arabi. Ciò discrediterebbe l’unico gruppo islamico che ha vinto militarmente Israele, e coalizzerebbe tutti i sunniti, allarmati da questo successo sciita.

Provocazioni gravissime sono già state consumate, secondo Meyssan direttamente dalla CIA. L’assassinio a Beiruth, il 12 dicembre 2007, di Francois Al-Hajii (un cristiano, come dice il nome «Francesco», nonchè capo militare della «Corrente patriottica libera» di Aoun), e l’esponente di Hezbollah, Imad Mugniyeh, trucidato a Damasco il 12 febbraio 2008. Questo, ucciso dal Mossad.

L’opposizione legittima, storicamente, non ha reagito scatenando la violenza. Hassan Nasrallah, il giovane capo di Hezbollah, non è caduto nelle provocazioni sanguinose. Dunque bisognava prepararne una più grossa.

Secondo Meyssan, che pare ben informato fin nei particolari, essa doveva «avvenire la notte del 25-26 aprile» scorso. «Dei commandos USA avrebbero dovuto sbarcare all’aeroporto di Beirut e tentare di eliminare direttamente Nasrallah. Fosse riuscita o no, la loro azione-lampo avrebbe precipitato la capitale nel caos e spinto i militanti Hezbollah ad attaccare (per vendetta) il governo di fatto di Siniora e il clan Hariri. Più sangue fosse corso, e più avrebbe giustificato un intervento della NATO», dice Meyssan.

Lasciamo ancora a lui la parola: «L’Ammiraglio Ruggero di Biase, comandante della forza navale dell’ONU (la forza di interposizione) avrebbe cambiato le bandiere delle navi italiane, francesi e spagnole al suo comando e avrebbe operato uno sbarco al porto di Beirut, sotto gli auspici dell’Alleanza Atlantica, con il pretesto di soccorrere i sopravvissuti del ‘governo’ pseudo-legittimo. Tutto ciò sarebbe stato accompagnato da una ampia propaganda contro la ‘violenza degli sciiti’ contro i sunniti, che avrebbe rovinato l’aura di cui Hezbollah gode presso le masse arabe. George Bush sarebbe allora arrivato a Tel Aviv per celebrare i 60 anni di Israele e invitare gli ‘Stati arabi moderati’ sunniti ad unirsi con lo Stato ebraico di fronte al comune pericolo sciita».

E’ la propaganda che abbiamo visto in questi giorni su tutti i giornali e TV d’Italia. Ancora Meyssan - che decisamente sembra ben informato (del resto si è stabilito a Beirut) - dice: «Washington aveva previsto di lasciar massacrare le sue pedine politiche in Libano, sacrificare il primo ministro di fatto Siniora e i capi della famiglia Hariri, per mantenere solo i suoi agenti operativi nello scacchiere: ossia la famiglia Hariri con la sua milizia e il leader druso Walid Jumblatt, che è vice-presidente dell’Internazionale Socialista (!) col suo braccio destro, il volubile Marwan Hamade, ministro nel governo Siniora». Attenzione: Internazionale socialista.

Il 26 aprile scorso, Hezbollah ha colto sul fatto un socialista francese d’origine afghana, e rappresentante dell’Internazionale socialista, di nome Karim Pakzad, mentre scattava foto proprio nelle vicinanze del bunker dove sta, per sicurezza, Nasrallah. Secondo Hezbollah, questo «socialista francese» era un agente che preparava l’azione americana mirante appunto ad assassinare il capo sciita. Arrestato dai militanti Hezbollah, gli è stato trovato addosso un apparato d’intercettazione delle comunicazioni telefoniche. Essenziale per un attacco mirato al capo sciita, molto protetto e localizzabile solo attraverso il segnale dei suoi telefoni cellulari o satellitari.

Così, il quadro che i media non spiegano, sta diventando chiaro. Come si ricorderà, questa ultimissima crisi libanese è scoppiata perchè il «governo» Siniora voleva eliminare le telecamere di sorveglianza che Hezbollah ha piazzato all’aeroporto di Beirut, sollevando dall’incarico il comandante addetto alla sicurezza aeroportuale.

Ora comprendiamo che, con quelle telecamere in funzione, il colpo a sorpresa dei commandos USA non sarebbe potuto riuscire. Ciò permette di capire meglio perchè Jumblatt, il druso-agente CIA, abbia strillato che Nasrallah aveva preparato un’azione per distruggere un aereo sulla pista 17, quella usata dai VIP del «governo» filo-occidentale: accusa probabilmente non falsa, ma Hezbollah si preparava ad accogliere con qualche sorpresa militare i commandos americani. Senza le telecamere, l’azione non poteva più essere sicura. Da qui i combattimenti.

Fatto degno di nota: mentre la milizia Hezbollah investiva Beirut Ovest e distruggeva metodicamente gli uffici del media del clan Hariri, che non sono stati difesi, l’esercito si ritirava dal quartiere, ostentando la sua neutralità. Durante l’azione, i sindacati - che hanno indetto lo sciopero generale il 7 maggio, per ragioni salariali ma anche politiche (sono appoggiati da Aoun) - hanno chiuso l’aeroporto per impedire un eventuale sbarco delle truppe NATO in intervento «umanitario».

Finito il lavoro, Hezbollah ha richiamato l’esercito, cedendo ad esso il terreno conquistato, invitandolo a riprendere la responsabilità dell’ordine pubblico. Accorgimento abile, perchè in base alla risoluzione ONU numero 1701 può intervenire, gettando la maschera di forza di pace, esclusivamente se la invoca l’armata libanese regolare, ossia se questa sente di aver la peggio negli scontri. Nasrallah ha scongiurato anche questa eventualità.

Così, Siniora ha infine dovuto richiamare i suoi ad un giorno di silenzio e «rifiuto della violenza» per domenica, una sorta di contro-sciopero generale, nella speranza di attizzare la tensione che si sta già calmando. Ma ha avuto un’amara sorpresa: l’esercito nazionale gli ha risposto rifiutando di smantellare le telecamere di Hezbollah all’aeroporto, perchè - dice - le considera «indispensabili alla difesa nazionale».

Perciò cari lettori, quando sentirete ripetere in questi giorni che Hezbollah ha «fatto un golpe», lasciate gridare i propagandisti. La verità è che Hezbollah ha evitato un intervento «umanitario», ed ha vinto almeno questa mano della partita.

La verità l’ha detta, in un impulso di dispetto, Aaron Zeevi Farkash (2), l’ex capo dell’intelligence militare israeliana: «Avevamo consigliato alla CIA di non far conto su Walid Jumblatt o su Saad Hariri, perchè li abbiamo provati nel 2006 (quando invasero il Libano) e si sono dimostrati nulli contro Hezbollah. Israele ha dato il miglior addestramento alle Forze Libanesi (la milizia ‘cristiana’ di Samir Geagea, criminale di guerra, coltivatore d’oppio ed evidentemente agente isrealiano), ed essi andranno in scena in ogni futuro conflitto».

E poi, Zeevi ha aggiunto, disperato: «Tre anni di sforzi d’intelligence sono andati perduti. La maggior parte degli agenti hanno dovuto lasciare Beirut, e gli agenti libanesi non possono più muoversi sotto copertura nelle loro missioni quotidiane... L’Occidente ha perso molto dopo la sorpresa che Nasrallah ha fatto».

Zeevi ammette: Nasrallah ha vinto. Un’altra volta. Tutte le trame e le reti saranno da ricostruire. Bisogna ricominciare con le provocazioni. Come?

Secondo il ben informato Meyssan, «Nei prossimi episodi Washington tenterà di far pressione sull’esercito perchè esca dalla sua neutralità e richieda il soccorso della Forza ONU; questo richiederà probabilmente l’assassinio di alcuni ufficiali recalcitranti...».

Le Forze ONU, ricordiamolo, comprendono 3 mila soldati italiani, e attualmente sono sotto comando italiano. Ecco perchè Frattini - filo israeliano di fatto - dice che bisogna consultare i soldati per cambiare le regole d’ingaggio. Le nostre forze, con questo governo, non sono per niente al sicuro. Ci vuole gettare nella guerra, e lo farà per incuria e servilismo.

Ci si può stupire delle informazioni che Meyssan pare avere sulla situazione reale: è il solo a rivelare il progettato colpo a sorpresa degli USA che doveva avvenire il 25-26 aprile, e che è stato annullato all’ultimo momento. Evidentemente le fonti Hezbollah gli danno fiducia. Ma forse non solo quelle.

La stampa servile dice e ripete alla nausea che Hezbollah è armato e assistito da Iran e Siria. Ma secondo Meyssan, è anche «sostenuto con discrezione dalla Cina e della Russia»: se è così, magari non direttamente con armamenti, ma certamente con l’intelligence.




1) Thierry Meyssan, «Les Etats Unis parviendront-ils à pousser les Hezbollah à la faute?», Réseau Voltaire, 10 maggio 2008.
2) Mohamad Shmaysani, «Hezbollah ruined 3 years of arab, foreign intelligence efforts»,
Al-Manar, 10 maggio 2008. Al-Manar è la radio-TV di Hezbollah, ma le recriminazioni di Zeevi le riporta dal sito ebraico Filkka-Israel, che ha intervistato il vecchio agente.

giovedì 6 marzo 2008

L'olocausto di Gaza

Dopo un breve periodo, torno a scrivere. Sono stato in Libano per 4 settimane. Pensavo di iniiziare a scrivere un articolo in cui descrivo le testimonianze della gente che ha vissuto l'aggressione Israeliana del Luglio/Agosto 2006. Non c'è l'ho fatta! Inizio invece dal dramma quotidiano della Palestina e da quello che qui non viene mai raccontato nei giornali o nei TV.

Il giorno dopo la strage di Gaza sulla copertina di metrò ho visto la foto di un ragazzo israeliano piangente il cui padre soldato era morto in battaglia... per quanto metrò possa essere un quotidiano significativo...

Attenzione: il seguente link vi porterà ad un articolo le cui immagini sono molto crude
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4354

E se volete, qui vedrete come i media occidentali hanno trattato ampliamente ciò che è accaduto
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4358

lunedì 7 gennaio 2008

Venezia 64 - Sotto le bombe in Libano

di Annalisa Picardi

Il 12 luglio 2006 Israele inizia un'offensiva militare contro il Libano diretta a neutralizzare il dispositivo armato di Hezbollah. Invade e bombarda il Libano, distrugge ponti, strade, aeroporti, insomma tutto quello che può servire per annientare il nemico o indebolirlo.

Qualche incidente di percorso, i civili, migliaia sotto le macerie dei villaggi rasi al suolo per errore o per vendetta.

Macerie, migliaia di persone in fuga, donne, bambini, anziani, uomini, cani e animali domestici, sotto il fuoco delle bombe, scuole evacuate, ancora bombe che ancora colpiscono, la fuga, il terrore, la sensazione di non avere riparo come durante il terremoto.

In Libano il 12 luglio 2006 c’era anche il regista Philippe Aractingi, reporter e documentarista, regista di un musical che in Libano aveva avuto molto successo in tempo di pace. C’era lui, la sua famiglia, l’attore Georges Khabbaz, l’attrice Nada Abou Farhat, la guerra con i suoi protagonisti e le sue vittime.

Il 14 luglio 2006 Philippe Aractingi comincia le riprese. Con lui una piccola troupe e un soggetto, una scaletta su ciò che aveva in mente di rappresentare. I dialoghi, le scenografie, il resto del cast, le comparse e tutto ciò che appare nei suoi fotogrammi è offerto dalla realtà. La guerra in corso, un popolo in fuga, villaggi distrutti e una madre libanese, Zeina, che vive all’estero ricca e spensierata. Zeina arriva disperata in Libano per cercare suo figlio e sua sorella in vacanza nel sud del Libano, il più colpito; comunicazioni interrotte da giorni e un marito lontano, ancora avvinto ai suoi affari e alle sue amanti. Nessuno vuole accompagnarla nel sud, troppo "dangerous", nessuno dei tassisti affamati di clienti si offre ai suoi dollari, nessuno tranne uno, Tony.

Zeina e Tony cominciano il loro viaggio all’interno di un paese in cui è tutto affidato al destino e alla fortuna, compresa la propria sopravvivenza. Non raccontiamo gli esiti della sua ricerca perché le sue speranze diverranno le nostre speranze vedendo il film, ma sappiamo ascoltando la storia di questo film di essere di fronte a un piccolo miracolo e a un gioiello con poco più di un anno di vita. Non si sa se il vero miracolo sia vedere questo film ad un anno e un mese dalla guerra che descrive, o se sia il solo fatto di vederlo. A parte i due attori protagonisti, gli altri protagonisti sono presi dalla vita reale, attori non professionisti trovati lì, tra le macerie o nelle fosse comuni, o quelli che capitavano quando si doveva decidere che strada prendere per non scoppiare in aria tra le bombe a grappolo.

Neorealismo, se vogliamo. Anzi, sentiamo. Si sente la realtà, ma non si vede né un documentario né un instant-movie come molti erroneamente hanno scritto. La sceneggiatura è stata creata durante le riprese o addirittura dopo, quando serviva scrivere scene da aggiungere a quelle già girate. Tutto ciò che si vede, dai bombardamenti alla disperazione dei profughi, fino all’arrivo dei caschi blu, è reale: reali le macerie, reali i ponti distrutti e le scuole evacuate. In pochi giorni e con pochissimi mezzi Philippe Aractingi è riuscito a filmare e a far entrare sul grande schermo “l’improvvisata” israeliana in Libano.

Poi è dovuto andar via per la sua incolumità e quella della sua famiglia, è tornato qualche giorno in Francia per procurarsi l’argent, una modesta quantità che gli ha consentito, però, di ritornare in Libano e continuare le riprese. Intanto dopo 33 giorni di guerra giunge il cessate il fuoco, imposto dall’Onu, arrivano i caschi blu, le riprese sono al termine, le fosse comuni no. Tutto ciò che si riprende fa parte della realtà e gli attori passeranno anche per le fosse comuni dove tutti cercano i propri cari, dove viene annullata definitivamente la speranza e l’aria respirabile.

Gli attori che hanno seguito Philippe Aractingi nella sua opera hanno sofferto insieme a tutte le persone incontrate nel loro viaggio. Uno di loro, Georges Khabbaz, è tra i comici più famosi in Libano, al pari di un nostro Benigni, e come Benigni ha fatto nella sua La vita è bella, riesce persino a farci sorridere in alcune parti del film.

L'attrice Nada Abou Farhat sembra ripercorrere le tappe della Magnani nella sua bellissima rappresentazione della madre disperata.

Dopo un anno, a Venezia, il pubblico applaude il suo film, il suo racconto della guerra e di quel sentimento di collera e di pietà che “ti porti dentro quando vivi in paese come il Libano, noi quella ferita ce la portiamo dentro e vogliamo raccontarla”.

Dopo la visione qui alla Mostra di altri racconti di guerra come quelli di De Palma o Haggis, si arriva alla semplicità “neorealista” di Sous les bombes (Sotto le bombe): niente alta definizione, niente immagini scioccanti, nessun cazzotto nello stomaco, nessun argent americano alle spalle, ma un coinvolgimento pieno e disperato nella realtà che viene trasmessa in tutta la sua intensità. Un linguaggio semplice che riesce a farci entrare in un paese e ci fa sentire la tensione e la paura delle bombe insieme alla disperazione di un popolo che non ritrova se stesso e i propri affetti.

Mi auguro che Sous le bombes possa essere distribuito in Italia e nel resto del mondo. Io l’ho visto, spero ci riusciate anche voi.


www.underthebombs.com

martedì 9 ottobre 2007

Chi ha ucciso Hariri? Forse Lotar

Ci si è domandati chi compie in Iraq gli attentati settarii, il cui solo scopo è creare una frattura d’odio e di sangue non più rimarginabile fra sciiti e sunniti, onde rendere inevitabile lo smembramento dell’Iraq in tre staterelli etnico-religiosi.
Ci si è chiesti chi c’era dietro il mega-attentato, tecnologicamente avanzatissimo, che il 14 febbraio 2005 uccise il premier libanese Rafik Hariri (ed altre 22 persone), ripiombando il Paese nella guerra civile.
E’ l’Iran, è la Siria, è la risposta invariabile del media.
E’ la Siria, ha cercato di stabilire il procuratore tedesco (ebreo) Detlev Mehlis, designato dall’ONU per l’inchiesta su Hariri: tanto bene l’ha stabilito, che ha dovuto dimettersi sotto l’accusa di aver subornato testimoni d’accusa, per far loro dire quel che si doveva.
Sam Hamod, già consulente del dipartimento di Stato e professore a Princeton, dichiarò subito che «Israele e gli USA sono implicati nell’assassinio di Hariri», essendo i soli a giovarsi del disordine risultante.
E aggiungeva: «Sharon ha allestito un gruppo speciale per ‘operazioni nere’ con il compito di uccidere chiunque , in qualunque parte del mondo, in spregio al diritto internazionale.
In Iraq questi specialisti sono creduti responsabili di una quantità di omicidi mirati
(docenti universitari, classe dirigente) e sequestri di persona intimidatori o intesi a perpetuare il caos e a impedire la ripresa del Paese» (1).
Ora il settimanale Israel Magazine, pubblicazione destinata agli ebrei francesi, conferma l’esistenza e il modus operandi di un gruppo che pare molto simile a quello di cui parlava Hamod.
Ecco a voi l’unità Lotar.

I giornalisti di Israel Magazine comunicano estasiati ai loro lettori di aver assistito alle «intense esercitazioni» di «questa unità di Tsahal», il cui nome, Lotar, «è l’acronimo di Lohamei be Terror, ‘combattenti contro il terrorismo’ » in ebraico.
Questa unità di combattimento «è composta unicamente di riservisti volontari aventi in media 40 anni, usciti dalle professioni liberali (sic), dall’hi-tech o dalla Difesa nazionale».
La sua specialità sono «le operazioni in ambiente urbano».
Per questo l’addestramento avviene in un luogo «al centro d’Israele che ricostruisce la struttura dei villaggi e delle abitazioni libanesi».
Il settimanale parla diffusamente e con ammirazione del capo di questa unità, «G», (il suo vero nome «non può essere dichiarato») il quale, dopo aver lasciato Tsahal nel 1994, «ha girato il mondo per assistere governi e varie organizzazioni della Difesa nella creazione di unità speciali».
Un mercenario, secondo ogni apparenza, i cui uomini guadagnano «da 5 a 8 mila dollari netti al mese in Paesi ‘normali’ dell’Europa dell’Est o in Africa, spese escluse».
Il comandante «G» racconta di essere stato, subito dopo le sue dimissioni dall’esercito regolare, «in Jugoslavia nel 1995, al servizio delle forze serbe» contro i bosniaci.
«Operavamo in abiti civili, con revolver nascosti. Attorno a noi era la guerra. Noi lavoravamo coi serbi in Bosnia, mentre Hezbollah e gli iraniani lavoravano coi musulmani».
Dice di aver saputo solo dopo, «dalla TV», delle «atrocità avvenute, per esempio, a Banja Luka».
Del resto, «abbiamo lasciato molto presto la Jugoslavia. E’ vero che il mio lavoro è l’addestramento di un esercito contro un altro in un conflitto che non mi riguarda, ma io mi pongo dei limiti fin dal principio. Chiedo sempre un’autorizzazione al ministero della Difesa israeliano».
Data la comprovata moralità di detto ministero, si può stare tranquilli.

Resta il fatto che questo specialista
di omicidi in ambiente urbano opera con la previa autorizzazione delle autorità militari israeliane: mercenario privato, disponibile ad operazioni in cui Tsahal non vuole apparire direttamente.
«G», che si è dato da sè il soprannome di «Lord of War. Come Nicolas Cage nel film omonimo», ha lavorato anche «in aree conflittuali del Sudamerica e del Sudafrica», ma «sempre alle dipendenze di organizzazioni legali e non di unità clandestine; mai coi nemici di Israele, e mai coi cartelli della droga - assicura - anche se in generale sono quelli che pagano di più in contanti».
E’ un uomo di saldi principii: ha «operato come istruttore in un Paese amico di Israele per formare una unità contro i delitti di sangue e il terrorismo».
Per «due anni ha lavorato in Iraq alle dipendenze di una società che aiuta i curdi a costituire una sezione militare indipendente (sic), unità di polizia, sistemi di sicurezza nel nuovo aeroporto, e un’unità cinofila».
In quel caso, «il suo passaporto israeliano è rimasto in Israele».
Ma dall’Iraq non se n’è andato tanto presto.
Ha risposto «alle offerte d’impiego del ministero della Difesa americano», per un lavoro che «richiedeva attenzione», di cui non dice alcun particolare, tranne che «il fatto che fossimo israeliani è stato un vantaggio».
Come mai?
«Gli iracheni non conoscono israeliani», è la risposta, «e non capivano da dove venivo. Io parlo bene l’arabo, e pensano che il mio accento sia libanese».
Ecco un vantaggio decisivo per fare attentati «in ambiente urbano» sia a Basssora, dove «G» può passare per un fanatico guerrigliero sciita Hezbollah venuto a dare una mano ai fratelli di fede, in quegli «omicidi mirati» contro professori universitari e dirigenti volti a perpetuare il caos, sia a Beiruth dove l’accento libanese è un aiuto decisivo nel preparare agguati come quello ad Hariri nel 2005.
«G», dice, è tornato in Libano anche nel 2006, «stavolta come comandante dell’unità di riservisti di Tsahal Lotar».
Il profilo perfetto del terrorista di Stato, addetto a strategie della tensione.

A ben pensarci, è un po’ come Prodi
: ogni tanto funzionario di Goldman Sachs, da cui periodicamente si dimette per fare il capo del governo italiano per conto del suo precedente datore di lavoro (l’accento emiliano lo fa passare per uno di noi).
Anche «G» passa periodicamente dal lavoro privato come mercenario, a quello pubblico di colonnello delle forze armate israeliane.
Nel 2006, mentre l’aviazione ebraica spianava in Libano dal cielo, il colonnello «G» - tornato soldato regolare - guidava i suoi quarantenni in azioni irregolari in profondità, negli abitati.

Maurizio Blondet
03/10/2007


Note
1) Sam Hamod, «Israel and/or America implicated in killing of Rafik Hariri», «Informationclearinghouse», 14 febbraio 2005.
2) André Darmon, «L’unité LOTAR», Israel Magazine, agosto 2007.

giovedì 13 settembre 2007

Libano: “le doglie del parto”

Esattamente un anno fa aveva inizio la seconda guerra di Israele contro il Libano. Israele ha intrapreso la distruzione del Libano, con il pretesto di punire un’azione di Hezbollah, che si era conclusa con il rapimento di due soldati israeliani, e di prevenire un possibile intervento di Siria e Iran. La guerra sarebbe finita quattro settimane più tardi, l’11 agosto. La popolazione civile è stata massacrata, con più di 1.500 morti, 1 milione di senzatetto, con la distruzione dell’infrastruttura stradale tra la capitale Beirut e i villaggi meridionali del paese e con la perdita finanziaria di circa 2 miliardi di dollari. Questo è stato il bilancio dell’aggressione israeliana. Il massacro di Canaa, in cui secondo la tradizione cristiana Gesù avrebbe fatto il primo miracolo – la trasformazione dell’acqua in vino – sarà ricordato nella storia come un pesante capo d’accusa contro gli israeliani. In questa guerra Israele ha commesso crimini contro l’umanità. Un giorno, anche se lontano, i suoi promotori dovranno risponderne, quale atto di giustizia e di difesa dei diritti umani e dei valori democratici.

La guerra contro il Libano del luglio-agosto dello scorso anno si inserisce anche nel novero delle guerre preventive dell’era Bush. Israele è l’agente principale nell’esecuzione del piano di “ristrutturazione” del Medio Oriente elaborato dall’Amministrazione Bush. Questo paese è una testa di ponte per le azioni statunitensi nella regione contro i paesi e le forze politiche che si oppongono a questi piani: la Siria, l’Iran e le forze della resistenza araba e palestinese. La guerra del luglio e agosto 2006 si inseriva tra le azioni che mirano ad impedire la realizzazione di un’autentica autonomia palestinese – che esisterà solo con la creazione di uno Stato sovrano su un territorio integro e continuo - , a smantellare il Libano, attraverso l’installazione di un’enclave militare e lo scontro con la Siria e l’Iran, che gli Stati Uniti considerano parte dell’ “asse del male”.

La guerra del luglio-agosto 2006 mette a nudo la natura militarista dell’Amministrazione Bush e il suo disprezzo per gli strumenti diplomatici e il diritto internazionale. Mentre le bombe assassine di Israele distruggevano la periferia sud di Beirut e i villaggi del sud del Libano e della valle del Bekaa, dove si concentra la popolazione sciita che sostiene Hezbollah, e l’opinione pubblica mondiale reclamava la fine dei bombardamenti, la segretaria di Stato dell’Amministrazione Bush affermava che non c’era alcun interesse a ristabilire lo status-quo preesistente tra Israele e Libano. E paragonava la tragedia abbattutasi sul Paese dei Cedri alle “doglie del parto”, da cui sarebbe potuto nascere il nuovo Medio Oriente.

Al termine di un mese di combattimenti tra forze impari, la guerriglia popolare e la Resistenza Nazionale riuscirono ad infliggere una dura sconfitta agli aggressori. Per la prima volta, la Resistenza araba vinceva in un confronto militare con Israele, cosa che dà qualche ragione a Condoleeza Rice, dal momento che effettivamente dalle rovine del Libano comincia a nascere un nuovo Medio Oriente: quello dello sviluppo della Resistenza Nazionale e della lotta antimperialista dei popoli arabi.

venerdì 10 agosto 2007

Il web arabo insorge

di Paola Caridi (un articolo apparso su Il Riformista in Agosto del 2006)
Il web arabo gronda sangue. E macerie. E disperazione. Il mondo virtuale arabo – che conta ormai molto per il pubblico della regione e non solo - chiede giustizia per i propri morti, promette vendetta verso gli israeliani e solidarietà per i libanesi, pretende che abbia termine il doppio standard e che le vittime abbiano uguale peso per la comunità internazionale. Il web arabo ha un agnello sacrificale, ed è il Libano, e un solo eroe, e si chiama sheykh Sayyed Hassan Nasrallah.Mai come per la guerra del Libano 2006 (quella che gli arabi definiscono ormai la “sesta guerra”), l’arena virtuale è divenuta un’agorà in cui informazione, controinformazione, invettive, litigate, dibattiti politici hanno creato una rete fitta, fatta non solo di parole. Ma soprattutto di foto. Sono le foto di Beirut, Sidone, Tiro, Qana, Shyia, Ghazyeh, Ansar a rappresentare visivamente il tam tam che riempie il mondo virtuale arabo, in un rincorrersi di dolore e di distruzione. Ogni blog, ogni sito di analisi o d’informazione, ogni pagina allestita in tutta fretta dal Libano ha il suo book fotografico caricato su Flickr, l’archivio su rete più usato dagli internauti della regione. E per una foto taroccata, com’ha fatto il fotografo freelance della Reuters Adnan Haj (subito silurato), ce ne sono centinaia, migliaia che a un occhio profano sembrano decisamente poco ritoccabili. Sono foto impressionanti, come la sequenza di Gettyimages che uno dei blogger più seguiti, Haitham di sabbah.biz ha inserito in rete due giorni fa: un bambino libanese di una decina d’anni che assiste impotente alla morte della madre.

Il mondo virtuale arabo – che ormai rappresenta una parte molto consistente delle èlite che risiedono nella regione e nella diaspora – non è solo disperato, di fronte a queste immagini. È indignato verso l’insipienza della comunità internazionale. È rabbioso, verso Israele che accusa di crimini di guerra e di violazione delle convenzioni internazionali, verso gli Stati Uniti a cui vengono attribuite le medesime colpe, e verso i propri regimi. Accusati di acquiescenza per non aver difeso il Libano. Un attacco, questo, che lungi dall’essere stato sottovalutato dai governanti, è diventata una delle ragioni per le quali le capitali arabe si sono unite attorno al Libano dopo un’iniziale disagio: l’agorà virtuale araba ormai conta, e incide sulle scelte politiche e mediatiche. Come dimostra il viaggio di Gamal Mubarak per portare solidarietà al popolo libanese, proprio nei giorni nei quali il web faceva rimbalzare il cartello di una manifestazione al Cairo, in cui papà Hosni veniva ritratto con una stella di David in fronte e la definizione di “ambasciatore d’Israele in Egitto”.
Gli internauti arabi non fanno sconti a nessuno, e combattono con le armi del web una vera e propria battaglia informativa e politica, con strumenti culturali che spesso poco hanno a che fare con l’antimoderno. E che anzi raggiungono punte elevate di raffinatezza analitica. Chi scrive sui web, spesso, è gente con fior di titoli alle spalle. Universitari e non. Gente che lavora negli atenei, che è esperto di informatica, che costituisce la crema del futuro arabo, assieme a un’altra consistente truppa di studenti, piccola borghesia, ceti istruiti. Sostenuti da molta parte dell’accademia occidentale che si occupa di Medio Oriente. Last but not least, non è detto per forza che sia islamista. Anzi. Gli attacchi a Israele, ai regimi arabi, agli Usa di Dubya e Condy, arrivano da tutto lo spettro delle opposizioni. Liberal e laici compresi. Con alcune eccezioni di rilievo, per il mondo virtuale arabo, come i blogger ultraliberali concentrati soprattutto in Egitto. Che però, come fa il notissimo Big Pharaoh, si pongono problemi seri sul futuro della regione, annotando che l’islam politico sciita ha fatto meglio dell’omologo sunnita, con due successi al suo arco. Prima, la rivoluzione khomeinista. E oggi, hezbollah, il “secondo successo sciita”.

Perché sì, Hassan Nasrallah è il vero eroe del web arabo, cristiano, sunnita, sciita che sia. È l’espressione del coraggio contro Israele, della rivalsa contro le altre sconfitte militari. È il simbolo della resistenza: motivo per il quale nello scorso mese a 128 bambini nati ad Alessandria d’Egitto è stato messo il nome Nasrallah. E a differenza dei miti precedenti, come quello di Nasser che oggi viene appaiato al nome di Chavez per la sua posizione su Israele, il mito di Nasrallah è incredibilmente un mito realista. Che non vuole poggiare sulla retorica. Del leader di hezbollah si conoscono benissimo i limiti, si conosce il realismo, si critica l’islamismo, ma si riconosce la furbizia o l’intelligenza politica. Le citazioni di Nasrallah riportate sui blog, per esempio, danno conto di questo cambiamento profondo nella cultura politica araba. Zenobia, di Egyptianchronicles, traduce un pezzo dell’ultimo discorso dello sceicco sciita, in cui Nasrallah avrebbe detto che “in tutte le guerre precedenti di Israele contro i paesi arabi, questi ultimi in genere bloccavano i media dalla copertura delle notizie mentre Israele mostrava tutto quello che aveva. Ora Israele sta bloccando i media dal coprire le notizie e noi stiamo mostrando tutto quello che abbiamo”.

Per l’agorà araba, l’informazione sulle distruzioni in Libano – com’è stato per la primavera delle proteste nel 2005, per la guerra in Iraq e per i palestinesi – è essenziale. E, a differenza di prima, le fonti israeliane sono stracitate. Le foto del campo profughi di Netzarim, per esempio, hanno fatto il giro del web. Spesso, a mo’ di didascalia, c’erano scritte frasi come “voglio essere un profugo israeliano”. E ad accompagnare reportage, testimonianze, foto, le tradizionali caricature politiche arabe, durissime e antiisraeliane come sempre. Sotto una di queste, che descriveva la pioggia di bombe su Beirut e due libanesi intenti a guardare, la vignetta diceva “Sorridi. Potresti essere accusato di antisemitismo”.Per le èlite virtuali arabe, l’antisemitismo è considerata una scusa che copre le colpe di Israele. E quando si parla di Ahmadinejad e della sua minaccia verbale di cancellare Israele dalla carta geografica, l’humor arabo non ha dubbi. “Israele lo sta facendo nei fatti. Sta cancellando il Libano dalle mappe”.

giovedì 9 agosto 2007

Il Libano, un anno dopo l'aggressione israeliana

Quando una guerra è lontana si dimenticano le ragioni per cui è stata fatta: il casus belli dicevano i latini. Vi racconto il Libano visto un anno dopo il conflitto con Israele che ha portato il lutto in millequattrocento famiglie; ha occupato cinquemila letti d’ospedale di feriti; ha lasciato interi villaggi di gente senza casa; ha inquinato cento chilometri di costa mediterranea, ha distrutto ponti, strade, acquedotti, centrali elettriche, privando il paese delle infrastrutture necessarie alla sopravvivenza.

Il mondo non ricorda i perché di quei 33 giorni di atrocità. Per gli analisti della geopolitica è già passato remoto, per quattro milioni di libanesi è ancora motivo di angoscia quotidiana. La guerra non è cominciata il 12 luglio 2007. Per capirlo bisogna infilarsi nei rancori atavici figli delle tante ingiustizie mediorientali.

Il 12 luglio dell’anno scorso un commando di Hezbollah catturarono due militari dell’Israel Defence Force, Eldad Regev e Ehud Goldwasser sul confine del Libano. Successivamente le cronache hanno dimenticato i loro nomi. Altri otto militari di Gerusalemme furono uccisi nell’attacco. Lo scopo era rapire dei soldati israeliani per scambiarli con prigionieri arabi. L’indiscusso leader degli Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, il giorno stesso, parlando ad Al Manar, la tv del Partito di Dio, ringraziò i miliziani che avevano rapito i due israeliani pronunciando esattamente questa frase: “Celebriamo la nostra fedeltà a Samir Kuntar e agli altri fratelli che sono nelle carceri israeliane. Gli ostaggi nelle nostre mani torneranno a casa solo con uno scambio di prigionieri”.

Israele aveva iniziato intanto la sua operazione militare chiamata “giusta ricompensa”. Intensi bombardamenti colpirono soprattutto quartieri e villaggi sciiti del Libano. Morirono tanti bambini. Il trenta per cento delle vittime aveva meno di dodici anni. Gli Hezbollah hanno cominciato a lanciare i loro razzi prima sull'esercito israeliano e poi sulle città israeliane.

Una storia per riassumerne tante: Cana, luogo caro a Dio che gli uomini hanno reso maledetto. Nella città del primo miracolo di Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino, sono stati costruiti i monumenti delle cattiverie recenti: Il mausoleo per i centouno morti dell’aprile del ‘96, profughi ammassati nel compound delle Nazioni Unite gestito dai soldati delle isole Fiji, che fu centrato in pieno da una bomba; e il cimitero dei bambini uccisi nel sonno da un altro ordigno il 30 luglio 2006.

Mohammad Shalhoub quel giorno perse l’uso delle gambe e tutti i membri della sua famiglia. Da allora ogni mattina, con la sedia motorizzata da invalido, si reca a pregare sulle tombe. Ripete il suo racconto di sopravvissuto ai rari visitatori, giornalisti e operatori della solidarietà internazionale. Non ricorda di aver sentito il boato dell’esplosione. Dice di essersi svegliato sommerso dalle macerie per le urla del vicino ferito che aveva accanto i cadaveri della moglie e dei figli”. La bomba spezzò ventisette vite. Sedici erano bambini. Il più piccolo, Abbas, aveva sei mesi. Ci vollero ore per estrarre i corpi. Fu molto difficile. Le ruspe potevano essere scambiate per rampe di lancio degli Hezbollah e non si decidevano a muoverle. I cronisti, all’inizio, sbagliarono sul numero dei morti e vennero criticati perché, sostenne qualcuno, esageravano il bilancio del massacro per partigianeria. Fu una umiliazione per chi, testimone, era chiamato a raccontare una verità così atroce come la guerra contro i bambini, vittime di coloro che li crescono nella cultura del rancore e vittime di guarnigioni di adulti che hanno spento il lume della ragione azionando le armi cieche della vendetta che rincorre vendette precedenti.

E’ sempre così: gli attacchi sono mirati….contro i più deboli, per terrorizzare popoli interi.