giovedì 9 agosto 2007

Il Libano, un anno dopo l'aggressione israeliana

Quando una guerra è lontana si dimenticano le ragioni per cui è stata fatta: il casus belli dicevano i latini. Vi racconto il Libano visto un anno dopo il conflitto con Israele che ha portato il lutto in millequattrocento famiglie; ha occupato cinquemila letti d’ospedale di feriti; ha lasciato interi villaggi di gente senza casa; ha inquinato cento chilometri di costa mediterranea, ha distrutto ponti, strade, acquedotti, centrali elettriche, privando il paese delle infrastrutture necessarie alla sopravvivenza.

Il mondo non ricorda i perché di quei 33 giorni di atrocità. Per gli analisti della geopolitica è già passato remoto, per quattro milioni di libanesi è ancora motivo di angoscia quotidiana. La guerra non è cominciata il 12 luglio 2007. Per capirlo bisogna infilarsi nei rancori atavici figli delle tante ingiustizie mediorientali.

Il 12 luglio dell’anno scorso un commando di Hezbollah catturarono due militari dell’Israel Defence Force, Eldad Regev e Ehud Goldwasser sul confine del Libano. Successivamente le cronache hanno dimenticato i loro nomi. Altri otto militari di Gerusalemme furono uccisi nell’attacco. Lo scopo era rapire dei soldati israeliani per scambiarli con prigionieri arabi. L’indiscusso leader degli Hezbollah, lo sceicco Hassan Nasrallah, il giorno stesso, parlando ad Al Manar, la tv del Partito di Dio, ringraziò i miliziani che avevano rapito i due israeliani pronunciando esattamente questa frase: “Celebriamo la nostra fedeltà a Samir Kuntar e agli altri fratelli che sono nelle carceri israeliane. Gli ostaggi nelle nostre mani torneranno a casa solo con uno scambio di prigionieri”.

Israele aveva iniziato intanto la sua operazione militare chiamata “giusta ricompensa”. Intensi bombardamenti colpirono soprattutto quartieri e villaggi sciiti del Libano. Morirono tanti bambini. Il trenta per cento delle vittime aveva meno di dodici anni. Gli Hezbollah hanno cominciato a lanciare i loro razzi prima sull'esercito israeliano e poi sulle città israeliane.

Una storia per riassumerne tante: Cana, luogo caro a Dio che gli uomini hanno reso maledetto. Nella città del primo miracolo di Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino, sono stati costruiti i monumenti delle cattiverie recenti: Il mausoleo per i centouno morti dell’aprile del ‘96, profughi ammassati nel compound delle Nazioni Unite gestito dai soldati delle isole Fiji, che fu centrato in pieno da una bomba; e il cimitero dei bambini uccisi nel sonno da un altro ordigno il 30 luglio 2006.

Mohammad Shalhoub quel giorno perse l’uso delle gambe e tutti i membri della sua famiglia. Da allora ogni mattina, con la sedia motorizzata da invalido, si reca a pregare sulle tombe. Ripete il suo racconto di sopravvissuto ai rari visitatori, giornalisti e operatori della solidarietà internazionale. Non ricorda di aver sentito il boato dell’esplosione. Dice di essersi svegliato sommerso dalle macerie per le urla del vicino ferito che aveva accanto i cadaveri della moglie e dei figli”. La bomba spezzò ventisette vite. Sedici erano bambini. Il più piccolo, Abbas, aveva sei mesi. Ci vollero ore per estrarre i corpi. Fu molto difficile. Le ruspe potevano essere scambiate per rampe di lancio degli Hezbollah e non si decidevano a muoverle. I cronisti, all’inizio, sbagliarono sul numero dei morti e vennero criticati perché, sostenne qualcuno, esageravano il bilancio del massacro per partigianeria. Fu una umiliazione per chi, testimone, era chiamato a raccontare una verità così atroce come la guerra contro i bambini, vittime di coloro che li crescono nella cultura del rancore e vittime di guarnigioni di adulti che hanno spento il lume della ragione azionando le armi cieche della vendetta che rincorre vendette precedenti.

E’ sempre così: gli attacchi sono mirati….contro i più deboli, per terrorizzare popoli interi.

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