martedì 9 ottobre 2007

Chi ha ucciso Hariri? Forse Lotar

Ci si è domandati chi compie in Iraq gli attentati settarii, il cui solo scopo è creare una frattura d’odio e di sangue non più rimarginabile fra sciiti e sunniti, onde rendere inevitabile lo smembramento dell’Iraq in tre staterelli etnico-religiosi.
Ci si è chiesti chi c’era dietro il mega-attentato, tecnologicamente avanzatissimo, che il 14 febbraio 2005 uccise il premier libanese Rafik Hariri (ed altre 22 persone), ripiombando il Paese nella guerra civile.
E’ l’Iran, è la Siria, è la risposta invariabile del media.
E’ la Siria, ha cercato di stabilire il procuratore tedesco (ebreo) Detlev Mehlis, designato dall’ONU per l’inchiesta su Hariri: tanto bene l’ha stabilito, che ha dovuto dimettersi sotto l’accusa di aver subornato testimoni d’accusa, per far loro dire quel che si doveva.
Sam Hamod, già consulente del dipartimento di Stato e professore a Princeton, dichiarò subito che «Israele e gli USA sono implicati nell’assassinio di Hariri», essendo i soli a giovarsi del disordine risultante.
E aggiungeva: «Sharon ha allestito un gruppo speciale per ‘operazioni nere’ con il compito di uccidere chiunque , in qualunque parte del mondo, in spregio al diritto internazionale.
In Iraq questi specialisti sono creduti responsabili di una quantità di omicidi mirati
(docenti universitari, classe dirigente) e sequestri di persona intimidatori o intesi a perpetuare il caos e a impedire la ripresa del Paese» (1).
Ora il settimanale Israel Magazine, pubblicazione destinata agli ebrei francesi, conferma l’esistenza e il modus operandi di un gruppo che pare molto simile a quello di cui parlava Hamod.
Ecco a voi l’unità Lotar.

I giornalisti di Israel Magazine comunicano estasiati ai loro lettori di aver assistito alle «intense esercitazioni» di «questa unità di Tsahal», il cui nome, Lotar, «è l’acronimo di Lohamei be Terror, ‘combattenti contro il terrorismo’ » in ebraico.
Questa unità di combattimento «è composta unicamente di riservisti volontari aventi in media 40 anni, usciti dalle professioni liberali (sic), dall’hi-tech o dalla Difesa nazionale».
La sua specialità sono «le operazioni in ambiente urbano».
Per questo l’addestramento avviene in un luogo «al centro d’Israele che ricostruisce la struttura dei villaggi e delle abitazioni libanesi».
Il settimanale parla diffusamente e con ammirazione del capo di questa unità, «G», (il suo vero nome «non può essere dichiarato») il quale, dopo aver lasciato Tsahal nel 1994, «ha girato il mondo per assistere governi e varie organizzazioni della Difesa nella creazione di unità speciali».
Un mercenario, secondo ogni apparenza, i cui uomini guadagnano «da 5 a 8 mila dollari netti al mese in Paesi ‘normali’ dell’Europa dell’Est o in Africa, spese escluse».
Il comandante «G» racconta di essere stato, subito dopo le sue dimissioni dall’esercito regolare, «in Jugoslavia nel 1995, al servizio delle forze serbe» contro i bosniaci.
«Operavamo in abiti civili, con revolver nascosti. Attorno a noi era la guerra. Noi lavoravamo coi serbi in Bosnia, mentre Hezbollah e gli iraniani lavoravano coi musulmani».
Dice di aver saputo solo dopo, «dalla TV», delle «atrocità avvenute, per esempio, a Banja Luka».
Del resto, «abbiamo lasciato molto presto la Jugoslavia. E’ vero che il mio lavoro è l’addestramento di un esercito contro un altro in un conflitto che non mi riguarda, ma io mi pongo dei limiti fin dal principio. Chiedo sempre un’autorizzazione al ministero della Difesa israeliano».
Data la comprovata moralità di detto ministero, si può stare tranquilli.

Resta il fatto che questo specialista
di omicidi in ambiente urbano opera con la previa autorizzazione delle autorità militari israeliane: mercenario privato, disponibile ad operazioni in cui Tsahal non vuole apparire direttamente.
«G», che si è dato da sè il soprannome di «Lord of War. Come Nicolas Cage nel film omonimo», ha lavorato anche «in aree conflittuali del Sudamerica e del Sudafrica», ma «sempre alle dipendenze di organizzazioni legali e non di unità clandestine; mai coi nemici di Israele, e mai coi cartelli della droga - assicura - anche se in generale sono quelli che pagano di più in contanti».
E’ un uomo di saldi principii: ha «operato come istruttore in un Paese amico di Israele per formare una unità contro i delitti di sangue e il terrorismo».
Per «due anni ha lavorato in Iraq alle dipendenze di una società che aiuta i curdi a costituire una sezione militare indipendente (sic), unità di polizia, sistemi di sicurezza nel nuovo aeroporto, e un’unità cinofila».
In quel caso, «il suo passaporto israeliano è rimasto in Israele».
Ma dall’Iraq non se n’è andato tanto presto.
Ha risposto «alle offerte d’impiego del ministero della Difesa americano», per un lavoro che «richiedeva attenzione», di cui non dice alcun particolare, tranne che «il fatto che fossimo israeliani è stato un vantaggio».
Come mai?
«Gli iracheni non conoscono israeliani», è la risposta, «e non capivano da dove venivo. Io parlo bene l’arabo, e pensano che il mio accento sia libanese».
Ecco un vantaggio decisivo per fare attentati «in ambiente urbano» sia a Basssora, dove «G» può passare per un fanatico guerrigliero sciita Hezbollah venuto a dare una mano ai fratelli di fede, in quegli «omicidi mirati» contro professori universitari e dirigenti volti a perpetuare il caos, sia a Beiruth dove l’accento libanese è un aiuto decisivo nel preparare agguati come quello ad Hariri nel 2005.
«G», dice, è tornato in Libano anche nel 2006, «stavolta come comandante dell’unità di riservisti di Tsahal Lotar».
Il profilo perfetto del terrorista di Stato, addetto a strategie della tensione.

A ben pensarci, è un po’ come Prodi
: ogni tanto funzionario di Goldman Sachs, da cui periodicamente si dimette per fare il capo del governo italiano per conto del suo precedente datore di lavoro (l’accento emiliano lo fa passare per uno di noi).
Anche «G» passa periodicamente dal lavoro privato come mercenario, a quello pubblico di colonnello delle forze armate israeliane.
Nel 2006, mentre l’aviazione ebraica spianava in Libano dal cielo, il colonnello «G» - tornato soldato regolare - guidava i suoi quarantenni in azioni irregolari in profondità, negli abitati.

Maurizio Blondet
03/10/2007


Note
1) Sam Hamod, «Israel and/or America implicated in killing of Rafik Hariri», «Informationclearinghouse», 14 febbraio 2005.
2) André Darmon, «L’unité LOTAR», Israel Magazine, agosto 2007.

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