giovedì 13 settembre 2007

Libano: “le doglie del parto”

Esattamente un anno fa aveva inizio la seconda guerra di Israele contro il Libano. Israele ha intrapreso la distruzione del Libano, con il pretesto di punire un’azione di Hezbollah, che si era conclusa con il rapimento di due soldati israeliani, e di prevenire un possibile intervento di Siria e Iran. La guerra sarebbe finita quattro settimane più tardi, l’11 agosto. La popolazione civile è stata massacrata, con più di 1.500 morti, 1 milione di senzatetto, con la distruzione dell’infrastruttura stradale tra la capitale Beirut e i villaggi meridionali del paese e con la perdita finanziaria di circa 2 miliardi di dollari. Questo è stato il bilancio dell’aggressione israeliana. Il massacro di Canaa, in cui secondo la tradizione cristiana Gesù avrebbe fatto il primo miracolo – la trasformazione dell’acqua in vino – sarà ricordato nella storia come un pesante capo d’accusa contro gli israeliani. In questa guerra Israele ha commesso crimini contro l’umanità. Un giorno, anche se lontano, i suoi promotori dovranno risponderne, quale atto di giustizia e di difesa dei diritti umani e dei valori democratici.

La guerra contro il Libano del luglio-agosto dello scorso anno si inserisce anche nel novero delle guerre preventive dell’era Bush. Israele è l’agente principale nell’esecuzione del piano di “ristrutturazione” del Medio Oriente elaborato dall’Amministrazione Bush. Questo paese è una testa di ponte per le azioni statunitensi nella regione contro i paesi e le forze politiche che si oppongono a questi piani: la Siria, l’Iran e le forze della resistenza araba e palestinese. La guerra del luglio e agosto 2006 si inseriva tra le azioni che mirano ad impedire la realizzazione di un’autentica autonomia palestinese – che esisterà solo con la creazione di uno Stato sovrano su un territorio integro e continuo - , a smantellare il Libano, attraverso l’installazione di un’enclave militare e lo scontro con la Siria e l’Iran, che gli Stati Uniti considerano parte dell’ “asse del male”.

La guerra del luglio-agosto 2006 mette a nudo la natura militarista dell’Amministrazione Bush e il suo disprezzo per gli strumenti diplomatici e il diritto internazionale. Mentre le bombe assassine di Israele distruggevano la periferia sud di Beirut e i villaggi del sud del Libano e della valle del Bekaa, dove si concentra la popolazione sciita che sostiene Hezbollah, e l’opinione pubblica mondiale reclamava la fine dei bombardamenti, la segretaria di Stato dell’Amministrazione Bush affermava che non c’era alcun interesse a ristabilire lo status-quo preesistente tra Israele e Libano. E paragonava la tragedia abbattutasi sul Paese dei Cedri alle “doglie del parto”, da cui sarebbe potuto nascere il nuovo Medio Oriente.

Al termine di un mese di combattimenti tra forze impari, la guerriglia popolare e la Resistenza Nazionale riuscirono ad infliggere una dura sconfitta agli aggressori. Per la prima volta, la Resistenza araba vinceva in un confronto militare con Israele, cosa che dà qualche ragione a Condoleeza Rice, dal momento che effettivamente dalle rovine del Libano comincia a nascere un nuovo Medio Oriente: quello dello sviluppo della Resistenza Nazionale e della lotta antimperialista dei popoli arabi.

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